Ridatemi Luttazzi

L’articolo necessita di una doverosa premessa. Non starò qui a parlare nuovamente del caso Luttazzi, del blog che l’ha generato e della difesa del comico romagnolo. Chi ha letto si è fatto una sua opinione ed andrà avanti con quella. E non sono né un detrattore di Luttazzi né l’avvocato difensore. Il mio post è un semplice “diamo a Cesare ciò che è di Cesare”.

Il comico che sale sul palco ha un potere enorme: esprimere il suo pensiero in chiave ironica. La maggior parte dei comici in Italia entra in un “sistema Zelig” molto piatto, con autori e cose da dire già scritte, personaggi da interpretare. Ci si riduce a fare gli attori comici e non i comici. Che va benissimo, per carità. Però dopo un po’ rompi i coglioni. Il tuo tormentone passa di moda, la gente si stufa. Ed ecco che ti ritrovi fuori dal sistema, depotenziato, costretto a vivere legato ad un personaggio che ti ha portato al successo e che, contemporaneamente, ti ha incatenato. Avrai i soldi e la fama, ma sarai già diventato parte di un sistema i cui pilastri sono composti da ipocrisia mista a cemento armato, che tu non avrai neppure scalfito.

Chi decide di proporre idee e pensieri, chi porta sul palco delle riflessioni, spesso va a sbattere contro un muro, una vera e propria censura ideologica. E’ come suonare rock in una nazione dove tutti vanno pazzi per il liscio, ed una chitarra elettrica non l’hanno sentita neppure alla radio. Quelli che come te amano il rock, devono impegnarsi a cercarlo: in un negozio di dischi tra gli scaffali più impolverati o su internet, fuori dal mondo comune in cui vivi.

In questo sistema nasce una stella, un rocker che spacca di brutto e che ti appassiona, che ti fa pensare “Ahhhh, finalmente quello che cercavo me lo sento alla radio”. Non è il primo, e non sarà l’ultimo, ma è il più cattivo, il più audace. Te lo godi per anni, le critiche e le censure ai suoi testi spinti te lo fanno amare ancora di più. Fino a che, un bel giorno, succede che qualcuno ti fa notare che quel riff di chitarra è di un famoso rocker americano, che il testo è la traduzione di un altro rocker, e così per gran parte dei suoi album.

La reazione della massa non è “lo hanno censurato per cose lecite” ma “ha copiato”. E il rocker sparisce, si ritira a vita privata, rincorso dalle Iene (quelle del metodo stamina, dei vaccini che rendono disabili, della dieta vegana contro i tumori ecc) e con moltissimi fan in meno.

Chi ci perde in tutto questo? Tu, naturalmente, che non ti ascolti più il rock alla radio.

Luttazzi è ed è sempre stato questo. L’alternativa ad un mondo televisivo piatto, fatto di comici vestiti da ape in calzamaglia o mirabolanti monologhi sulla differenza fra calabresi e milanesi. E’ quello che ha lanciato strali su Berlusconi e la sinistra, quello che ha sdoganato il sesso nella comicità nostrana, quello che ha permesso con Tabloid la nascita di tutti i siti di satira con battuta che di questi tempi sono spuntati come funghi (all’interno dei quali magari ci sono autori che ora gettano fango su Luttazzi perchè hanno visto due video su Carlin, ma che evidentemente all’epoca dormivano), quello che si è rifiutato di andare a Sanremo per non dover fare un monologo di merda come quello della Littizzetto sulla bellezza, quello che a Raiperunanotte ha tirato fuori un pezzo che è oro puro, quello che sono andato a sentire dal vivo e mi ha fatto sganasciare più di qualunque altro comico io abbia mai visto dal vivo (ma rimpiango molto non essere potuto andare a guardarmi Recital di Guzzanti), quello che ha pagato tutto questo con la censura, prima dei media e poi del pubblico.

Non so perchè ho scritto questo post, forse perchè suor Cristina che chiede di dire il Padre Nostro mi ha fatto cascare i miei già gonfissimi coglioni, ma è ciò che penso da anni. Di Luttazzi abbiamo bisogno, perchè non è sufficiente dire “io non guardo la tv”. Tu ti salverai, ma milioni di persone non vedranno mai l’alternativa alla comicità mediocre. Insomma, Montanini su RaiTre è fantastico, e Aniene di Guzzanti è un crack. Ma non mi basta, non posso pensare che Luttazzi stia fuori da una televisione così.

Lancio un appello. Me ne sbatto del fatto dei plagi, me ne frego di quello che pensate: ridatemi Luttazzi.

Fatelo per me.

Perchè Genny ‘a carogna è una sconfitta anche per il judo

Dopo la finale di Coppa Italia (quella calcistica) diverse domande si sono susseguite nella mia mente: come è possibile lasciare uno stadio in balia di pregiudicati? Come possono le bombe carta entrare nello stesso luogo in cui sono presenti bambini? Perchè i telecronisti Rai hanno libertà di parola?

I commenti dei primi judoka letti e ascoltati sono stati abbastanza prevedibili: nel judo non sarebbe successo, w gli sport minori! Insomma si è preso nuovamente la palla al balzo per evidenziare la differenza fra noi e il calcio.

La differenza, quella vera, sta nel numero di tifosi. Noi abbiamo palazzetti semivuoti, il calcio aveva uno stadio da 70mila posti pieno. Ciò che è avvenuto non ha niente a che fare con lo sport: è una sconfitta istituzionale e prima ancora culturale. Non possiamo non pensare che se anche noi avessimo i palazzetti pieni, con tutta la rivalità fra palestre che di cui ho parlato nel post precedente, anche noi saremmo a rischio. Non più tardi di qualche anno fa la finale a squadre di Frosinone venne sospesa qualche minuto per una stampellata in testa ed una mini rissa sugli spalti.

Il proliferare di questi individui e di queste situazioni è un problema politico e sociale. Lo sport, tutti gli sport, mirano all’aggregazione o quantomeno allo sviluppo fisico e morale degli individui. Quello che è accaduto all’Olimpico è una sconfitta di tutti, judo e judoka compresi.

La guerra tra kodokan

L’inizio della lotta fra palestre si perde nella notte dei tempi. Fin da quando i primi maestri di judo colonizzarono i vari magazzini sfitti alla periferia delle città formando i kodokan, gelosia e disprezzo hanno condito i rapporti fra le diverse società. Con l’aumentare del numero dei cavalieri, i feudi si sono ingranditi, rendendo gli scontri inevitabili.

La rivalità si accende in vari modi. Spesso la causa la si ritrova anni addietro, alle volte non ci si ricorda neppure. Può essere una vicenda personale del Maestro, oppure uno screzio con un arbitro iscritto ad un altro feudo, che da quel momento sancisce una rivalità che sovente, ma non sempre, si sopisce col tempo.

La tipicità di questa guerra è che non si tratta quasi mai di uno scontro acceso alla luce del giorno, bensì una rivalità che serpreggia nell’oscurità, dove le accuse diventano dicerie, consumandosi all’ombra di rapporti apparentemente cordiali. Questa guerra fredda costringe spesso a fare buon viso a cattivo gioco, accettando tranquillamente allenamenti di gruppo,  anche con feudi ferocemente rivali.

Lo sgarro più grande che un Maestro può fare all’altro è quello di “rubare gli atleti”. In pratica, si corteggia spassionatamente un cavaliere, promettendogli ricchi possedimenti e svariate medaglie ai Campionati Italiani. Talvolta si tenta di convincere il guerriero che, sotto la sua nuova guida, sarà più facile entrare nelle forze dell’ordine, le guardie sceltissime dell’Impero. Spesso si rivelano promesse senza alcun fondamento, ma l’obbiettivo è semplicemente quello di impoverire il feudatario rivale.

Altre volte, invece, il kodokan rischia di sgretolarsi per lotte di potere interne. Magari a causa di qualche genitore/vassallo, magari per qualche contrasto fra judoka. Capita, infatti, che il cavaliere stesso voglia diventare feudatario, andando a tentar fortuna in altri magazzini sfitti, nella speranza di poter rapidamente rimpinguare le sue fila, magari portandosi dietro qualche guerriero fedele dal feudo d’origine.

La lotta prosegue rabbiosa a livello regionale, dove le questioni si fanno assai più complesse. Protagonisti provenienti dalle più svariate casate si riuniscono per il bene collettivo, recependo gli ordini che arrivano dall’Impero. Ovviamente, la formazione di una armata regionale passerà attraverso diatribe e polemiche apparentemente sobrie, ma di vitale importanza per il buon nome di ogni feudatario.

Certo, esistono anche Maestri che in fondo hanno capito il concetto di mutua prosperità. Se non sono ancora finiti in miseria, sbranati come antilopi in un mondo di leoni, continueranno a battersi per il miglioramento di tutti i cavalieri, sapendo bene quanto una migliore formazione dei judoka possa far sgretolare questo sistema di casate reali che appare fermo al medioevo. Organizzeranno stage e gare, magari a proprie spese, con poche o nulle sovvenzioni imperiali, nella speranza almeno di riprendere il denaro investito.

Pensare che tutto questo possa cessare è roba da pazzi. In fondo le rivalità e le lotte sono il pane quotidiano degli esseri umani. Ma perchè l’Impero non cerca di sfruttarle meglio, magari facendo leva su quel senso d’appartenenza che ogni judoka dovrebbe avere verso il proprio kodokan? Attraverso gare o campionati a squadre, ad esempio. Certo, le mie sono solo sciocche proposte da piccolo scribacchino. Per ora mi accontento di rimettere ogni tanto l’armatura e coprire centinaia di chilometri per sventolare fiero il vessillo della mia casata, con la paura che se il sistema non si evolve, presto non rimarranno feudi da rappresentare. Nei momenti di quiete, invece, mi fermo a riflettere sul mondo del judo, e mi siedo sul tatami aspettando paziente che arrivi il Rinascimento.

Come i genitori distruggono un judoka

Il genitore che renderà la vita del piccolo judoka un vero inferno sarà facilmente riconoscibile fin dalla prima volta che il moccioso si legherà la cintura bianca alla vita. Di questi saccenti palloni gonfiati ne esiste una infinita tipologia: da quello che prova un piacere sadico nello sminuire il figlio che in una gara ha osato arrivare secondo fino all’ex judoka che entra in contrasto con l’allenatore distruggendo quelle poche certezze che un atleta può avere.

Mettersi da parte non è nella loro indole. Loro sono i genitori, quindi il figlio deve essere il meglio del meglio.

Tenetevi forte: il pupo, con ogni probabilità, sarà un altro judoka nella media che al massimo parteciperà a qualche finale nazionale, sempre che non si rompa i coglioni prima di sentirvi pontificare su cose che non sapete e mandi affanculo sia voi che il judo.

I genitori che assillano i bambini sono ben riconoscibili da tutti, perchè si palesano negli allenamenti o nelle gare venendosene fuori con evergreen tipo “attento a farti male” o altre puttanate del genere.

Ma quelli più subdoli e pericolosi sono quelli che non si vedono, quelli che fanno capolino in palestra di tanto in tanto, ma generalmente smontano il figlio tra le quattro mura casalinghe.

Spesso l’allenatore è impotente. Nonostante il desiderio pulsante sarebbe quello di sventrare queste persone con un mestolo di legno da cucina, il bene verso il proprio atleta impedisce di giungere a pesanti sfuriate nella paura di ferire il ragazzo. L’inghippo è di impossibile soluzione, a meno che quei parameci non capiscano la situazione e decidano di dare il loro sostegno morale senza mettere bocca nella formazione del lottatore.

In Italia parlare contro i genitori è pericoloso. Sembra che il solo fatto di aver fecondato un ovulo o aver partorito un neonato promuova automaticamente gli individui a “brave persone” pronte a fare sacrifici e mai degne di critica. Per non parlare delle trasmissioni tv in cui ci si meraviglia di padri che vanno con prostitute minorenni e madri alcolizzate. E perchè mai? Una persona di basso spessore non migliora certo diventando genitore.

Ho frequentato adulti che mi avrebbero seriamente fatto votare a favore della castrazione chimica preventiva. Onora il padre e la madre. Come no, facile così eh? Il rispetto ci si guadagna.

Se siete un judoka e mi state leggendo, tenete duro: arriverete in un età tale in cui l’incubo che è diventata la palestra a causa dei  vostri cari diventarà vero e proprio intrattenimento, perchè si defileranno, impegnati magari col figlio più piccolo (sempre che non venga in palestra con voi. In tal caso fuggite. E portatevi anche lui).

Se siete genitori e vi riconoscete almeno in parte nelle mie accuse, per favore:  fatevi un serio esame di coscienza e domandatevi quanto la vostra premura non sia sbarbamento di palle, e quanto non stiate limitando la crescita di un bravo judoka, non solo nello sport, ma nella vita.

10 proposte per rendere il judo più spettacolare

L’IJF le sta provando tutte. Pur mantenendo il judo molto fedele ai principi tradizionali, si sta sforzando costantemente di renderlo più appetibile per le emittenti televisive. Il regolamento cambia ad ogni plenilunio, ora per ridurre le difese aumentando il numero di ippon, ora per zittire gli allenatori durante le gare e far felice uno sceicco arabo sugli spalti.
L’impegno profuso è notevole, tanto che negli ultimi anni abbiamo passato più tempo a fare corsi d’aggiornamento sugli arbitraggi che ad allenare i ragazzi. Così, invece che aspettare inermi i prossimi cambiamenti, proponiamone qualcuno noi.

Cosa può aiutarci a far diventare famoso e molto più visibile il judo?

–  Fare gli incontri in una gabbia. Tanto è vietato uscire comunque, e gli arbitri vanno inutilmente in confusione. Poi sembra che combattere in gabbia, per il solo fatto di farlo, renda la cosa molto eccitante per chi guarda da casa;

Abolire l’intervento medico. Un volto coperto di sangue fa impennare l’Auditel, anche se così ci perdiamo tutta la fetta sotto i 18 anni perchè magari ci mandano in onda in fascia protetta. Se qualcuno vomita sul tappeto, poi, nessuno deve pulire finchè l’incontro non è terminato. Sarà divertente per tutti quei bambini che sono rimasti svegli per vederci e che, come al solito, della fascia protetta se ne sono sbattuti;

– Far combattere le ragazze senza maglietta. Un modo pratico per incoraggiare gli arbitri a far proseguire la lotta a terra;

Unire tutti i tatami. Così gli atleti saranno liberi di muoversi e di andare a sbattere anche con gli altri judoka in gara, portando la giuria e l’arbitro in un vortice di simpatici malintesi e decisioni sbagliate, un po’ come ora. Ma il tutto sotto una gabbia gigante;

Contattare MTV e convincerli a sviluppare il programma “Dieta – Vita da judoka;

Sacrificare una vergine a Jigoro Kano all’inizio di ogni finale nazionale;

Insegnare il judo a Papa Bergoglio. Poi farlo scontrare in un combattimento all’ultimo sangue con Putin;

Cambiare nome alle palestre. Per far presa sulla gente abbiamo bisogno di nomi più cazzuti. Basta Akiyama, Kodokan, Kyu ecc… Vedrete che quando lo speaker prima del combattimento annuncerà “Marco Rossi del Judo Club Cani Rabbiosi” la folla e i telespettatori saranno carichissimi;

Unificare i 55 kg con gli oltre. Fare la stessa cosa per le categorie femminili. Al pubblico piace vedere qualcuno che tenta imprese impossibili. Ma ricordarsi di aumentare il numero di ambulanze fuori dai palazzetti;

Sostituire l’hajime ed il mate con gli spari di una colt.

Voi, ne avete altri?

La messa è finita (andate nei palazzetti)

I Campionati Italiani Juniores di Fidenza sono già storia. Si porteranno dietro polemiche e incongruenze che, come da norma, si placheranno via via col tempo. Parlando di cose positive, complimenti ai tifosi del Kyu Shin Do Kai Parma, che hanno fatto sentire la propria presenza in maniera importante, dando un bell’esempio di tifo. Ecco di cosa vorrei parlare oggi: tifo.

“Mi pare d’essere in chiesa”. Così mio padre, uomo nerboruto e pittoresco con pochi peli sulla lingua, esordì ai Campionati Italiani Junior a Genova un paio d’anni fa. Quella frase lì per lì mi fece sorridere. Poi, a distanza di mesi, ridere. Infine mi fece capire. Palazzetti giganti per finali nazionali pieni di un nulla siderale. Non so voi, ma una competizione sportiva nel silenzio mi mette i brividi. Ora, le ragioni di un palazzetto mezzo vuoto sono molteplici: tanti soldi per muoversi, sfacchinate chilometriche, capienza esagerata per gare con un numero ridotto di pubblico.

Eppure non trovo il modo di giustificarle. E non lo faccio perchè i genitori della mia società d’appartenenza, quando ci sono le gare, si muovono in massa. Anche per un solo atleta, anche se loro figlio non gareggia. Addirittura, a volte, perfino se ha smesso proprio di venire in palestra.

Alcuni portano cibo per un’armata. In quella gara specifica ricordo che due di loro tirarono fuori un indefinibile chilometraggio di focacce, uccisero un maiale sul posto e presero a distribuire schiacciate ripiene a chiunque passasse nel raggio di quindici gradini. Alle finali Juniores a Napoli, qualche anno prima, un genitore del posto entrò nel palazzetto con una scatola di pizza che faceva ombra a tre quarti degli spalti, guardando una atleta negli occhi prima della finale e dicendole solo “Mangia! Mangia!”.

I viaggi, poi, sono stati delle vere e proprie epopee. Partiamo tutti insieme (orari di peso e distanze permettendo), ci dividiamo nelle macchine e partiamo. Il capofila è quello che ha il TomTom più aggiornato. Dopo circa 10 Km dall’imbocco dell’autostrada partono le bestemmie perchè “abbiamo perso qualcuno”. Una volta, per una gara in Croazia, ci perdemmo (è il rischio che corri con il TomTom non aggiornato) e, muniti di cartina, passammo per strade che farebbero rimpiangere quelle piene di buche in stile safari che ci sono nelle nostre città. Arriviamo (quasi) sempre in tempo, anche perchè se mio padre scende sotto i centotrenta orari rischia l’orchite.

Ma il bello arriva a gara in corso. Grida, pianti di gioia, esultanze smodate. E questo solo durante il riscaldamento. Il combattimento è una sofferenza vera, di quella che abbiamo provato tutti quando un nostro amico sta là sopra vacillando tra la vittoria e la sconfitta. Polemiche con gli arbitri, certo. Ma fa tutto parte del gioco: è il prezzo che la federazione deve pagare se vuole avere un movimento passionale. Polemiche, badate bene. Mai offese rivolte a nessuno. Nè agli ufficiali, nè tantomeno agli avversari. Insomma, in una parola: tifo.

Ora, il nostro non è certo il solo gruppo che fa queste cose (vedi ragazzi e ragazze muniti di trombetta del Kiy Shin Do Kai). Ma converrete con me che di palestre così ce ne sono troppo poche. Gli allenatori devono muoversi in questa direzione, creare un gruppo che non lascia indietro nessuno e tenta di coinvolgere tutti. Niente gelosie, niente battibecchi. E’ più importante e formativo questo per un judoka, piuttosto che conoscere il seoi nage. Ma in fondo è quello che ci ha lasciato Jigoro Kano: lavorare insieme per la mutua prosperità.

E la Federazione? Certo non può fare molto in questo caso. Però tentiamo di semplificare le cose a chi le gare si sbatte per organizzarle, no? Almeno gli arbitri potrebbero essere pagati dalla Fijlkam. Un signore mi ha detto: “E’ come se ti lavo la macchina gratis: il sapone e la spugna dammeli tu”.

Insomma, riempiamo noi questi benedetti palazzetti, facciamo sentire sempre il nostro appoggio ad i judoka che conosciamo, tiriamo fuori questa passione che abbiamo dentro. In fondo è solo un altro modo per trasmetterla.

 

8 tipi di judoka che potreste incontrare in palestra

Il Kodokan è una giungla. Vi sono animali di varie specie, alcuni innocui e teneroni, altri temibili predatori. Ecco un vademecum ristretto per mettervi in guardia da alcuni dei più temibili:

Il Millantatore. E’ campione italiano, partecipa a gare con la nazionale, ha fatto qualche medaglia ad europei e mondiali. Questo è quello che dice agli amici. In realtà è una cintura marrone che sta prendendo i punti per il primo dan, o tuttalpiù ha la cintura nera ma il suo record è essere entrato fra i primi sette ad un campionato regionale. Dall’ego smisurato, solitamente l’individuo si aggira per il tatami col judogi sempre composto, anche se, dopo determinati esercizi, sarebbe logico fosse ridotto come una tela di Fontana: strappato e rosso per il sangue delle (maledette) pellicine degli avversari. Se si tratta di un ragazzo, il suo vantarsi è di solito giustificato dalla spasmodica ricerca di una partner su cui far colpo. Se è una ragazza, invece, solitamente lo fa per primeggiare con quelle schizzinose delle sue amiche.

Il Disperato. Detto anche “quello del Ramadan”. Questo atleta mangia come un pazzoide, ingurgitando quantità di cibo che disgusterebbero persino Giuliano Ferrara. Salvo poi ricordarsi, uno o due giorni prima, che ha la gara. Se è un ragazzo si giustifica con l’allenatore sostenendo che “pensava di farcela”. Una ragazza, invece, è fuori peso perchè “ha le sue cose”. Il Disperato smette di mangiare e di bere per tutto l’arco di tempo che lo separa dalla competizione. Solitamente appare come uno spettro che vaga per il tappeto, sia a causa del suo incedere lento, sia per il volto pallido ed emaciato. Salta all’occhio comunque, visto che, nel disperato tentativo di perdere liquidi, ha deciso di indossare un comodo sacco della monnezza. Alle gare è possibile avvistarlo sommerso dai propri compagni. Dopo la competizione ( che spesso perde perchè non si regge in piedi) in dieci minuti riacquista il suo peso naturale, ovvero 10-15 Kg più della categoria in cui ha tirato.

Il Testimone di Geova. Categoria che riguarda sopratutto gli allenatori. Il Testimone di Geova si palesa alle gare o negli allenamenti in cui sono presenti più palestre. Loderà senza ritegno le vostre prestazioni, sostenendo che siete i migliori del mondo e che lui vi farà diventare il nuovo Koga. Se vi sieti bevuti il cervello, finirete nella sua palestra, chiudendo la carriera in un vortice di disperazione. Se lo sfanculerete (cosa che vi invito a fare), vi divertirete alle sue spalle, assieme a decine di altri atleti che ha tentato di abbordare. Chiude la sua palestra nel giro di pochi anni per essersi preoccupato più di inseguire talenti già formati piuttosto che crearne di nuovi.

Il Bipolare. Il talento puro che in palestra tira a chiunque, ma arriva alle gare più timido di una ragazza che si è appena seduta sul divanetto di FakeAgent (*). Vivrà una vita di rimpianti, solitamente addossando le responsabilità all’allenatore che non l’ha capito oppure agli arbitri scandalosi. Neppure sotto tortura ammetterà che le colpe principali sono state le sue seghe mentali.

Il Culturista. Ecco, a lui non frega un beneamato cazzo del judo. Sopratutto ignora completamente il concetto di kuzushi (squilibrio, per quelli che come me odiano i termini tecnici). Lui viene in palestra solo ed esclusivamente per farsi il fisico per l’estate. Se ve lo ritrovate contro in gara, piangerete i primi dieci secondi che vi fa le prese. Poi capirete che si muove peggio del robottino Emiglio (che ricordi…) e passerete al turno dopo senza difficoltà. Sul tatami, solitamente, non lo noterete: è impegnato in sala attrezzi.

Lo Squilibrato. Si muove come Celentano ai bei tempi. Proiettarlo è molto difficile, visto che vi si appiccica addosso come una goleador sul muro. Ha un’innata capacità di cascare di culo, che da quando hanno tolto il Koka è un vantaggio mica da ridere. Le prime volte potrebbe proiettarvi con colpi inventati dal nulla, che neppure lui sa spiegare esattamente da dove vengono. Un trucco se dovete affrontarlo in gara: lo Squilibrato è quello che, durante la lotta sulle prese, si muove sguaiatamente (anche se pensa di avere il gioco di gambe alla Cassius Clay) e rivolge verso di voi il dorso delle mani. Fateci caso.

L’Esiliato. Puzza. Esageratamente. Può essere un bambino dall’alito tremendo, un adolescente con squilibri ormonali, un uomo single. A voi non interessa. Sapete solo che il suo olezzo potrebbe essere usato come arma batteriologica. Sta solo, in un angolo della materassina. Piuttosto che fare lotta a terra con lui preferireste guardare tutta la notte una lotta nel fango fra Flora Dora e Cristiano Malgioglio (e senza riuscire a capire chi dei due è Flora Dora). Ovviamente, ma questo non ci sarebbe bisogno di dirlo, non lava il judogi, che nel frattempo è diventato blu nonostante lo avesse comprato bianco.

Il Mercenario. E’ tesserato per una società, ma non si ricorda quale. Gira tutta Italia per allenarsi al meglio. Ottimo atleta con zero senso d’appartentenenza. Ah, ovviamente non sarebbe da regolamento. Ma questo non diciamo a quelli della federazione, ok?

E voi? Avete da segnalarne altri?

(*) Attenzione. Se non avete riso a questa battuta siete persone innocenti che per nessun motivo al mondo dovranno andare a cercare FakeAgent. Se avete riso, fate schifo.

Il judo è lo sport più bello del mondo (ma i miei amici fanno zumba)

Solitamente quando qualcuno fa qualcosa pensa che quella cosa sia la migliore del mondo. Ad esempio, per un pescatore alzarsi alle 5 del mattino per andare a sedersi all’umido di un lago ad un centinaio di km di distanza dal suo letto, cercando (spesso invano) di pescare pesci infiacchiti dall’inquinamento circostanze, è la cosa più rilassante che esista. Per me sono solo degli idioti.
Ma il mondo è bello perchè vario: come non citare i collezionisti di francobolli, gli ultras di una squadra di calcio, i dirottatori d’aerei, chi va a cantare ad XFactor nella speranza di essere scelto fra l’altra decina di migliaia di ugole dalla voce alla Giusy Ferreri. Insomma, ogni uomo su questa terra ha delle passioni più o meno forti, che spesso servono per scaricarsi dallo stress accumulato a lavoro e che, quando va tutto alla grande, diventano esse stesse il lavoro. I judoka però avrebbero tutte le ragioni del mondo per considerare il loro sport il più bello, e la loro passione probabilmente quella in cui le energie sono meglio riposte.

Anzitutto, l’Unesco avrebbe dichiarato il judo come sport più completo nella fascia d’età fra i 4 ed i 21 anni (ad onor del vero il documento ufficiale è introvabile su internet, almeno per le mie ricerche). Senza contare, poi, che il judo è aperto a chiunque: dai marmocchi appena nati agli anziani, dalle persone sane a quelle con disabilità fisiche e psichiche. E’ questo il motivo per cui è sviluppato in qualunque punto del mondo, diventando l’arte marziale senza dubbio più diffusa. La coordinazione che ne vien fuori è totale (anche se qualcuno pensa ancora che il nuoto ti faccia coordinare: avete mai visto un nuotatore correre?) e le capacità fisiche importanti. I bambini che fanno judo, essendo esso uno sport di situazione, vanno molto meglio a scuola degli altri. In pratica, uno sport come la maratona, il lancio del peso, il salto in alto, sono discipline che potresti fare ripassandoti nel frattempo l’ultima inutile lezione di filosofia, visto che il tuo scopo è solo battere un determinato limite. Mentre si combatte, invece, è come se si facesse una breve partita a scacchi, con decisioni pressochè istantanee, abituando la mente alla risoluzione dei problemi.

Quindi la domanda è lecita: perchè si parla solo di calcio ed il judo non se lo caga nessuno?

La risposta che viene sempre data è superficiale, di una banalità disarmante: nel calcio ci girano i soldi. Al che rispondo con una sola parola: zumba.
Ora, è mai possibile che una attività fisica come lo zumba sia più famosa di una disciplina totale come un’ arte marziale? E’ mai possibile che il judo non riesca ad essere attraente per quei milioni di donne (solitamente trentenni frustrate che odiano gli uomini), che si mettono a muoversi a casaccio con l’ultimo remix di Pitbull? Come al solito, quando si cerca dei responsabili, non possiamo far altro che guardarci allo specchio (ho citato V per Vendetta. Mi sento tostissimo).

Il problema dei judoka è che devono scendere dal piedistallo che si sono creati: ok, siamo i migliori del mondo, ma se non ci avviciniamo alla gente rimarremo gli ultimi migliori del mondo. Quindi vediamo come fare.

In primis dovremmo assolutamente smetterla di considerarci come uno sport: come ho spiegato sopra non esistono solo agonisti che ci fanno ben figurare alle gare e che portano punti al kodokan, ma la nostra è un’arte marziale aperta a tutti quanti. Cerchiamo di puntare a quella fetta di donne che pagano una salassata in palestra per fare spinning o fit box, diamo loro uno scopo, facciamoci sentire vicini. Stessa cosa vale per i disabili: i ciechi, ad esempio, che oltre al judo possono fare poco altro. Muoviamoci in tutte le direzioni senza pensare di essere dei supereroi, e non mi riferisco agli allenatori, ma ad i praticanti stessi.

Pensate che fare ciclismo comporti meno sacrifici dei nostri? Pensate che un calciatore professionista non debba tenere il peso? O pensiamo che siano tutti come Balotelli?

Altro discorso quello che riguarda l’emorragia di iscritti nelle nostre palestre: perchè? Spesso è causata da fattori che non possiamo controllare (es. adolescenti maschi che scoprono la figa), altre volte è causata all’interno della palestra stessa. Gelosie, litigi, divergenze con l’allenatore. Tenere un gruppo unito è fondamentale, probabilmente il vero segreto per la sopravvivenza sulla piazza. Avere tanti atleti in palestra comporta di per sè una buonissima pubblicità, con genitori più che disposti a mandare i propri figli in un ambiente sereno. Altro appello: non rompete i coglioni con il peso. Spesso i ragazzi non fanno gare perchè non se la sentoni di fare una dieta: hanno ragione. Il 99.99% di noi non farà mai un Mondiale, quindi judo lo facciamo per divertirci. Se l’alteta perderà nel peso sopra, pazienza. L’importante è che faccia gare e continui a rimanere nel gruppo. Infine il rapporto coi genitori: coinvolgeteli, fate in modo che alle gare tifino anche per i ragazzi che non derivano dai loro organi genitali. Se riuscirete ad ottenere questo, sarete già un bel passo avanti.

Per concludere: smettiamola di sperare che i nostri atleti facciano medaglia alle Olimpiadi per elemosinare un po’ di visibilità mediatica, e non speriamo che l’ultimo film su Maddaloni (che ad un certo punto sembrava una fiction su Padre Pio) possa portarci tanti iscritti. Domandiamoci seriamente, invece, quanto le responsabilità per un mancato sviluppo del judo e per l’emorragia di atleti non siano nostre.

Altrimenti la prossima generazione di judoka lascerà gli ultimi kodokan rimasti per andare a fare zumba.